Cambiamento sociale: giovani e aziende
Ci sono dei punti chiave che i giovani e le aziende, devono affrontare.
Ecco qualche riflessione.
La “crisi”… non è iniziata quando mi sono laureata, se n’è sempre parlato.
La grande delocalizzazione (molte aziende hanno chiuso i battenti in Italia), la crisi del consumismo, della sovrapproduzione, il cambio di consapevolezza dei consumatori, il ritorno delle aziende in Italia (ma che perdono la competizione sul prezzo e non si sanno adeguare al contesto, quindi falliscono, ecc…) un sistema in fallimento… o un “cambiamento sociale” in corso?
Una situazione che colpisce molti settori.
Il “contesto, sta cambiando”?
O forse cambia da sempre (perché così è) e noi non sappiamo più come interpretarlo?
Per esempio “la nuova consapevolezza dei consumatori”… non ce l’aspettavamo.
Abituati ai numeri, alle statistiche decontestualizzate, al calcolo “calcolato” dei risultati e delle performance. Incapaci di reagire all’inaspettato.
Interpretare il cambiamento e riutilizzarlo a nostro vantaggio è l’unica vera soluzione che abbiamo per non fallire (tutti, non solo le aziende).
Vedo giovani che non sanno cosa fare, che non hanno delle linee guida da seguire per affrontare questo (e altri) “cambiamento sociale”.
Nel grande dibattito sulle competenze scuola/università/lavoro, utopicamente possiamo progettare.
I consumatori cambiano il loro comportamento -> le aziende devono rispondere a questa esigenza, ma non hanno idea di come fare e cercano nuove risorse e stimoli per capire cosa fare (ma sono ancorate a vecchi preconcetti) e si aspettano che le nuove generazioni possano apportare soluzioni (ma le nuove generazioni spesso si sentono disorientate e frustrate).
“Una frustrazione che si morde la coda.” Nessuno sa davvero cosa fare. Nessuno progetta.
Le aziende sono ancorate a vecchi preconcetti -> all’interno delle quali non si crede in un percorso “formativo”, per adulti, che scardini la loro mentalità retrograda, che auspica a inserire figure già competenti tecnicamente, in un contesto lavorativo che di competenze non ne trasmette più (perché chi è/era competente è stato licenziato a causa della delocalizzazione o è in pensione).
Ma le aziende non sono disposte ad avere un atteggiamento di “nutrimento” delle conoscenze tecniche, perché per loro è un “costo”, e non un investimento sulle nuove risorse (le nuove generazioni), che è l’unico spiraglio che può permettere loro di sopravvivere in un contesto che sta cambiando (come è sempre accaduto e questa volta non è diverso dalle altre – ma l’approccio evidentemente sì… se si chiude per mancanza di personale).
Dunque, in questo contesto, i giovani si sentono frustrati e demotivati, senza una strada da percorrere né un progetto da costruire.
Cercano l’equilibrio tra la vita privata e quella lavorativa, ma non lo trovano, perché nelle aziende vi sono ancora dei “dinosauri”, incapaci di interpretare la crisi delle competenze.
Una vera e propria mancanza di dialogo tra due attori fondamentali del sistema.
Quindi? Che si fa? Rimaniamo a guardare impotenti?
Oppure, iniziamo ad analizzare questo grande problema di “dialogo” e in questo la “gestione delle risorse umane” diventa fondamentale. Perché solo degli esperti in grado di interpretare le esigenze delle persone (imprenditori e giovani) possono, dal mio punto di vista, porre le basi strutturali per cambiare socialmente, senza cadere nella frustrazione.
Avviare nella pratica attività, che coinvolgano gli imprenditori e i giovani in percorsi “formativi”, dove poter imparare l’importanza di questo dialogo, comprendere l’importanza dei tirocini per avere delle figure esperte domani e non solo manovalanza da sfruttare.
Strutturare l’esperienza dei giovani in maniera davvero formativa, prevedendo percorsi che non li affliggano, ma stimolino in loro la motivazione all’apprendimento -> “imparare a imparare” -> “imparare a orientarsi” nella vita professionale (e non solo).
Celeste Priore
Hr Recruiter